Immaginate ombrelloni, cofani e giubbotti fotovoltaici. Immaginate, in buona sostanza, di poter spalmare su qualunque superficie, rigida o flessibile, piatta o curva, una sottilissima pellicola capace di produrre energia elettrica con la luce del sole.
Questa prospettiva si chiama fotovoltaico organico e da anni è un vero rompicapo per ricercatori in tutto il mondo. Infatti, fra le possibili alternative al silicio, il fotovoltaico organico è quello che sulla carta offre i maggiori vantaggi: è a bassissimo impatto ambientale, facile da produrre e da smaltire. Ma è anche il più complesso: la fisica dei composti organici, infatti, è molto più varia e complicata di quella dei composti minerali, come il silicio, e presenta una gran numero di problemi irrisolti. La notizia è che uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications da scienziati del Politecnico di Milano e dell'IFN-CNR ha permesso di far luce su alcuni meccanismi prima ignoti, che offrono un criterio fondamentale per guidare lo sviluppo di questa tecnologia in futuro.



Ospite Franco Camargo, ricercatore dell'Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR