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Giornata Internazionale della Pace | Gli Occhi della Storia

Gli Occhi della Storia

Italian - September 21, 2022 03:30 - 17 minutes - 40.1 MB
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A cura di Francesco Massardo

Il 21 settembre di ogni anno si celebra la giornata internazionale della pace. Questa celebrazione è stata istituita il 30 novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per promuovere il rapporto pacifico e di collaborazione tra gli esseri umani e costruire ponti che permettano di avvicinare i popoli tra loro. Secondo la tradizione, questo è il giorno della non-violenza, in cui ogni nazione dovrebbe cessare qualsiasi ipotetica ostilità nei confronti delle altre. Inoltre, questa giornata è dedicata al dialogo tra i popoli e alla cooperazione con le Nazioni Unite per raggiungere la pace globale.

“Il sentiero della nonviolenza richiede molto più coraggio di quello della violenza.”

È una delle citazioni più celebri del Mahatma Gandhi e pur nella semplicità non sempre apprezzabile degli slogan, racchiude in fondo il segreto della storia passata e evidentemente recente dell’umanità e il perché della creazione di questa giornata.

Per quanto sia drammatico da ammettere e forse difficile da comprendere ad un primo ascolto, essere violenti è decisamente più facile dell’essere non violenti. La prima via richiede essenzialmente una buona dose di coraggio, ma infinitamente minore rispetto alla seconda.

In effetti ragionando per naturali predisposizioni dell’uomo, la guerra intesa come manifestazione di violenza quale mezzo per ottenere i propri scopi, appare tanto antica quanto l’umanità stessa. Da Temistocle a Giulio Cesare, da Saladino a Napoleone, passando per Carlo Magno, George Washington e Simon Bolivar, i grandi cambiamenti della storia sono tutti inevitabilmente e a prescindere dai colori, guidati da generali, dai loro eserciti e dalla loro esercitazione della violenza.

Se dunque la guerra ha origini antichissime, altrettanto non si può dire della pace, non intesa come pura assenza di conflitto, ma come pacifismo, come intenzione umana di risolvere un conflitto attraverso la non violenza. E certamente una giornata internazionale come quella di oggi, nata appena nel 1981, ne è la prova più eclatante. Fino all’illuminismo, in occidente neppure veniva contemplata un’alternativa alla guerra per la risoluzione dei conflitti, eppure anche dopo la diffusione dei primi manifesti filosofici apertamente contrari alla guerra, sarebbe inesatto parlare di cultura della pace: lo stesso termine pacifismo verrà introdotto nella nostra lingua solo agli inizi del Novecento. Voltaire, Kant e i primi pensatori della pace, la intendevano soprattutto come compromesso, come una sorta di prevenzione dei conflitti e proprio in quest’ottica nacquero anche organizzazioni come le Nazioni Unite o l’Unione Europea, enti che si pongono il pur nobile fine di evitare la guerra, non di ripudiarla, come il recente conflitto in Ucraina, il primo su suolo europeo dai tempi della frammentazione della Jugoslavia, ha recentemente dimostrato. L’umanità, tanto in occidente quanto ad ogni latitudine del pianeta, ad oggi può promuovere la pace, ma non condannare il ricorso alla violenza senza passare per le forche caudine dell’ipocrisia, e quel “si vis pacem, para bellum” di romana memoria oggi risuona come un monito eternamente scolpito nei corsi e ricorsi della storia.

La storia del pacifismo che ha portato alla nascita di questa giornata è una storia di paradossi. Il primo è squisitamente temporale: nel secolo scorso, quello delle due guerre mondiali e del grande scontro globale di Stati Uniti e Unione Sovietica, nasce il primo vero movimento pacifista e nascono i primi grandi generali della non violenza: Gandhi, Mandela, Martin Luther King. Per la prima volta la storia non viene scritta dai cannoni.

E poi l’estate del 68, la summer of love e le manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Altro paradosso, questa volta geografico. Nel paese più guerrafondaio che esista, centinaia di migliaia di giovani chiedono la cessazione di un conflitto troppo distante e troppo sanguinoso per essere accettato anche dalla working class tendenzialmente lassista e assuefatta alle presunte esportazioni di democrazia a stelle e strisce.

Parlare oggi di pace e di pacifismo aiuta realmente a capire come questa giornata non sia da dedicarsi tanto alla pur doverosa memoria del passato quanto alle prospettive del futuro. Il conflitto esploso in Ucraina alla fine dello scorso febbraio ha inevitabilmente riportato in auge sul suolo europeo scenari e bollettini che il vecchio continente sperava di essersi lasciati alle spalle. Ma le bombe e i raid aerei del Donbass non sono che uno dei tanti fronti aperti, dove la strada per la pace è ben lontana dall’essere intrapresa.

La striscia di gaza continua a essere luogo di morte, l’Iran continua a coltivare sogni nucleari, mentre anche sul Kosovo si annidano le nuvole minacciose della Serbia.

E poi all’orizzonte quella che rischia di diventare la nuova guerra fredda: lo scontro a largo raggio tra il gigante in declino ma non arrendevole, gli stati uniti e la sempre più emergente Cina, che si appresta a entrare nella fase congressuale del partito comunista. Ecco, forse proprio dalle relazioni diplomatiche tra i due colossi dell’economia, entrambi membri del consiglio permanente dell’ONU ed entrambe potenze nucleari, si deciderà il margine ad oggi flebilissimo tra guerra e pace. Un ordine mondiale destinato a cambiare dopo trent’anni di monopolio targato Washington dopo il crollo sovietico, e dove a poco più di cent’anni dal primo grande conflitto mondiale, la piccola ma ambitissima isola di Taiwan rischia di diventare la Bosnia del 1914, e Taipei la novella Sarajevo.

Ma la non violenza, la cooperazione, il dialogo non sono antidoti solo contro i conflitti armati: ci sono altre battaglie e altre violenze che presentano oggi un conto salato al pianeta intero. La lotta alle discriminazioni, di ogni genere e forma, sono ben lontane dal conoscere una vittoria finale, tra ritorni di fiamma antiabortisti in America e rigurgiti di razzismo che coinvolgono da vicino anche il nostro paese. Per arrivare poi alla lotta e alla necessità urgente di una cooperazione vera contro il cambiamento climatico, mentre i laghi si seccano, i poli si sciolgono, i mari si innalzano e gli ettari bruciano.

In un clima di generale sconforto, la giornata internazionale per la pace guarda soprattutto all’Europa, il continente che ha visto nascere e in buona parte scorrere i due conflitti mondiali e che con grande difficoltà ha cercato di costruire un futuro senza violenza, nel segno dell’unione e della sostenibilità e che non a caso ha scelto proprio l’inno alla pace o nona di Beethoven come inno ufficiale.

E per chi non crede più di tanto nell’efficacia della politica, occhi e orecchie sono puntati non a caso sulla figura di papa Francesco, che nella nuova Chiesa di cui si è fatto pioniere ha nella cessazione di ogni violenza, da quella militare a quella climatica, un faro costante.

Nel Novecento, il secolo delle grandi guerre e della bomba atomica, nacque e si sviluppò il pensiero pacifista. Nel XXI secolo, negli anni dove la violenza torna a farsi sentire con forza, si dovrà cercare di dare alla pace un’altra possibilità.

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“Gli Occhi della Storia”, è una produzione di Giornale Radio, dove la radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere a pieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società.
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